Riflessioni…coraggiose!
E’ di soli tre giorni fa un articolo, apparso sul Corriere della Sera, quotidiano di larga tiratura, riguardante i bambini, da 0 a 2 anni, che frequentano il nido d’infanzia.
In questo articolo si parla di uno studio sperimentale fatto da alcuni ricercatori sugli effetti che l’asilo nido provoca sulle capacità intellettive dei piccoli e sul loro stato di salute.
L’indagine ha portato alla constatazione che il nido può rivelarsi un freno che rende meno brillante la loro intelligenza e che nel tempo può ridurre il loro QI ( quoziente intellettivo ) dello 0,5 % rispetto a coloro che non lo hanno frequentato. Questa notizia manda all’aria in un nanosecondo la vox populi sull’utilità per i bambini piccoli dell’inflazionato termine del socializzare che significa in poche e chiare parole: essere inseriti il prima possibile nel sistema.
Questo risultato, almeno per me, fa pensare alla scoperta dell’acqua calda! C’era bisogno di scomodare l’efficienza scientifica per capire che un bambino molto piccolo privato del suo indispensabile habitat affettivo subisce un’assurda violenza con relative conseguenze?
Innanzitutto, il primo atto di onestà da compiere, sempre secondo il mio sentire, sarebbe di usare i giusti termini. Per esempio quello di sostituire la parola frequentare con depositare, parcheggiare. Si perché di vero e proprio parcheggio si tratta. Infatti, così come esistono i parcheggi per auto, esistono in parallelo i baby parcheggi.
Credo, inoltre, che sarebbe utile e interessante continuare questa sorta di indagine chiedendosi anche quanto viene ad essere depauperato non solo il QI ma anche il QA, cioè a dire il patrimonio affettivo del bambino, e, in aggiunta, anche il QS, cioè il quoziente salute (di cui ne sanno qualcosa i pediatri attenti).
Un bambino di pochi mesi fino ai 2 – 2 anni e mezzo, non può essere sradicato dal suo vero nido costituito dalla famiglia, dall’ambiente conosciuto ecc., per essere trapiantato in un luogo sconosciuto e a contatto con altrettanti sconosciuti non sempre “vocati” al proprio lavoro. (Cronaca insegna!)
Questo fatto, molto spesso deciso a tavolino per comodità adulta, manda all’aria all’improvviso tutte le equilibrate e fisiologiche coordinate raggiunte fino a quel momento da chi sta crescendo secondo i sacrosanti tempi della natura.
A questo punto mi chiedo : perché non riusciamo a metterci nei panni di un bambino molto piccolo e ad immaginare con onestà quello che può vivere questo piccolo essere che non ha ancora i mezzi per farsi sentire e rispettare?
Questa riflessione non vuol dire che bisogna ritornare indietro nei secoli tornando alla donne che stavano a casa per accudire tutti, grandi e piccoli. Ma, tanto per fare un esempio, in una società civile dovrebbe instaurarsi una reale parità di diritti e di doveri fra uomini e donne, una “parità di impegno” che ancora oggi è un sogno. D’altro canto, se pensiamo che la donna è solo da 70 anni che ha acquisito il diritto di votare e che tutt’ora non gode della parità degli emolumenti per il suo lavoro …… !
Ho intestato queste righe : “Riflessioni …….. coraggiose“ perché nel tipo di mondo che abbiamo tutti contribuito a realizzare e che sembra ogni giorno che passa più che un “pazzo mondo”, è difficile compiere un grosso atto di coraggio per rivedere e correggere il nostro sistema di vita e le sottili violenze che imponiamo ai più deboli.
Bisogna avere il coraggio di ammettere che un figlio non è una medaglia al valore, ma un grosso impegno nei riguardi della vita intera.
Non dimentichiamo mai che i bambini, anche di poche ore di vita, sono persone che devono sempre essere trattate con rispetto ed attenzione massima e non da sistemare in qualche modo per la nostra comodità adulta camuffata con assurdi alibi sociali. (2 luglio 2016)
Una “buona” notizia
In una scuola statale finlandese è possibile vedere quotidianamente i ragazzi, della corrispondente scuola media e superiore italiana, che vestono grembiuli colorati. Ognuno di loro indossa un colore diverso a seconda del compito che deve svolgere.
Parliamo forse di temi da svolgere? Niente affatto. Si tratta solo di predisporsi per fare attività di Economia domestica, e cioè stirare, apparecchiare, caricare la lavastoviglie, fare dolci o il piatto del giorno, e così via.
Più o meno tutti sanno che nei paesi nordici i giovani, arrivati alla maggiore età, e cioè a 18 anni, escono di casa e impiantano la loro vita come vogliono, aiutati in questo dallo Stato che fornisce loro un piccolo mensile (al quale da noi potrebbe corrispondere il mensile che viene sempre dato ai figli anche dopo i trent’anni!)
Per dei genitori nordici è normale che i propri figli lascino il nido per iniziare a costruire il loro. Ed è per questo motivo che è indispensabile imparare a saper amministrare il proprio andamento personale e della casa.
Non c’è, ovviamente, distinzione di ruoli. Maschi e femmine imparano a fare le stesse cose. L’Economia domestica è materia obbligatoria e sembra che sia la più amata. Una volta deciso il menù per il pranzo del giorno dopo, l’insegnante si presenta al mattino con la spesa già fatta e all’ora stabilita chi è addetto alla cucina impronta il pranzo mentre altri stirano, si occupano della lavatrice, rammendano calzini, fanno la maglia o aggiustano una sedia.
Tutto questo porta ad acquisire l’autonomia, a sottovalutare e vincere le difficoltà quotidiane, a prepararsi come adulti liberi e futura genitori.
E’ interessante vedere che nella graduatoria delle parità fra maschi e femmine al primo posto è l’Islanda seguita, appunto, dalla Finlandia, e che al 69° posto c’è l’Italia!
Quanti secoli ci vorranno per risalire la montagna del “mammismo italiano” ?
I nuovi contadini
Nel mare magnum quotidiano delle “cattive notizie”, ogni tanto emerge, come un sughero dall’onda, qualche “buona notizia”. Una di queste è che in Toscana si è costituita una Cooperativa agricola fra diversi giovani, molto preparati e consapevoli, che hanno scelto come loro lavoro “un ritorno alla terra”. Molti di essi sono competenti in agraria ma con la scelta di dedicarsi esclusivamente alla coltivazione biologica e biodinamica della terra. Cioè, niente chimica ma solo il ripristino di sistemi naturali negli orti e nei campi.
Attualmente c’è una forte richiesta, da parte dei consumatori, di prodotti naturali e di bandire perciò pesticidi, concimi chimici, insetticidi e quant’altro del genere dai nostri piatti. Quindi, la tavola non più nemica e minacciosa per la nostra salute, ma amica e collaboratrice del benessere e della salute di tutti.
Di giorno in giorno sta aumentando nei consumatori la rivolta contro i produttori di cibi dannosi e il potere economico della grande industria. Oggi stiamo lentamente riscattando i vecchi metodi di coltura e delle risorse naturali del nostro pianeta così ciecamente e incoscientemente sfruttato.
Il ritorno dei giovani alla terra è consapevole e preparato. Essi sanno che se vogliamo vivere, e non solo sopravvivere, dobbiamo rispettare e amare la grande madre terra che ci ha messo al mondo. Cioè Gea, come gli antichi l’avevano denominata.
Punizioni corporali
Altra “buona notizia” è che il Consiglio d’Europa ha condannato la Francia perché ancora non vieta le punizioni corporali sui bambini. Secondo “Save the children” nel 2012 un quarto dei genitori considerava gli schiaffi e le sculacciate come “un gesto educativo”!
Le bacchettate o i colpetti sulla nuca, che venivano regolarmente propinati agli allievi 50 – 60 anni fa dai loro insegnanti, oggigiorno non sono più accettabili, ma anzi assolutamente condannabili per legge. Infatti, è passibile di denuncia alle Autorità chi alza le mani per picchiare un bambino.
Attualmente sono 44 i Paesi al mondo che hanno preso posizione contro le percosse nei riguardi dei bambini. Era ora! E forse sarebbe anche l’ora che Paesi come la Francia e l’Italia si accodassero.
Alzare le mani su un bambino inerme è un atto vile e prepotente. Un fatto assolutamente ingiustificabile e inaccettabile. Non dimentichiamo mai che ogni bambino, anche di pochi giorni, è una persona che ha diritto umano al massimo rispetto. Non c’è cosa peggiore che dover subire, da parte del più debole, il potere del più forte.
Invito perciò caldamente alla riflessione quei genitori che ancora picchiano i figli e che sfogano su di loro le loro tensioni e rabbie represse.
Un bambino che è stato percosso dal genitore non lo dimenticherà mai!
A scuola di violenza
Recentemente in America, e precisamente nel Kentucky, è morta una bambina di due anni uccisa a fucilate dal fratellino di cinque anni. Non è stato un incidente provocato da un’arma lasciata inavvertitamente incustodita da un adulto e perciò a portata di bambini. No, non è stato un incidente. E’ stato semplicemente l’effetto di un regalo della famiglia fatto al bambino un anno prima, quando cioè aveva solo quattro anni di età. Il bambino ha puntato il suo regalo contro la sorellina e l’ha uccisa. Così, come fosse un gioco al tirassegno contro una sagoma umana. Solo che in questo caso la sagoma era in carne e ossa. Questo è accaduto in uno Stato della democratica, libera e avanzatissima America, dove, oltre a risiedere l’orgoglioso primato di una altissima percentuale di adulti proprietari di un’arma, esistono fabbriche, come la Keystone Sporting Arms, che fabbricano armi per bambini, però vezzosamente colorate. Queste armi, caricate regolarmente con pallottole calibro 22, vengono regalate da solerti genitori, nonni, parenti e amici, ai bambini, secondo i principi di una salda tradizione familiare. In America si è sempre sparato molto (e purtroppo si spara molto anche oggi) e non solo ai tempi degli indiani. La carabina facile è sinonimo del western americano. Oggi non ci sono più gli indiani – tutti regolarmente sterminati a suo tempo – , ma il piacere del possesso delle armi è rimasto nel DNA degli statunitensi. Ora, io credo che solo una mente malata può regalare a un bambino di quattro anni in occasione di compleanni e ricorrenze varie, un fucile perfettamente in grado di uccidere. Considero questo fatto semplicemente allucinante e totalmente irresponsabile. Riporta una statistica del New York Times, che negli USA vengono prodotti circa 60.000 (sessantamila!) fucili per bambini all’anno! Che le cause di morte fra 1 e 24 anni di età sono rappresentate maggiormente dalle armi da fuoco. Che sono stati venduti recentemente duemila zainetti antiproiettile. Che ogni giorno vengono uccisi da armi da fuoco diciotto bambini e ragazzi. Esistono, inoltre e in fiorente aumento, meeting nazional popolari dove sparano tutti: dal nonno al nipotino; dove si fanno gare a chi spara meglio e di più. Specie nelle feste rurali si organizzano tornei per sparatori in erba. Il tutto viene ovviamente organizzato e sponsorizzato da produttori che hanno solo un obiettivo: vendere il più possibile. Poi se ci sono morti, poco male! Importante è che vinca, come troppo spesso accade, il dio denaro dinanzi al quale la preziosità della vita umana vale molto poco. Se questa è civiltà!
Il coraggio di Malala
La festa di compleanno – 16 anni – l’ha festeggiata il 12 luglio u.s. parlando alle Nazioni Unite. No, non è la figlia di qualche alto esponente politico o di qualche personaggio mondiale di spicco. No, assolutamente no. Malala è semplicemente una ragazza pachistana sopravvissuta ad un attacco armato dei talebani all’uscita dalla sua scuola. E’ stata colpita alla testa ma miracolosamente non è morta ed ora è divenuta un’attiva paladina che ha deciso di lottare senza tregua perché sia reso libero il diritto di chiunque – soprattutto delle donne – a qualunque nazionalità appartenga e qualunque sia il colore della sua pelle, a studiare, a frequentare senza timore o pericolo libere scuole, ad acquisire un’istruzione che cancelli l’ignoranza e l’analfabetismo dei giovani. Ha pronunciato poche parole all’ONU per niente intimidita da tale Consesso. Ha ricordato ai presenti e a tutto il mondo il diritto all’istruzione, “all’importanza della voce quando ci mettono a tacere. Gli estremisti hanno paura dei libri e delle penne. Il potere dell’istruzione li spaventa. Le nostre parole possono cambiare il mondo. Prendiamo in mano le nostre penne e i nostri libri. Sono molto più potenti delle armi”. E per terminare ha ripetuto con fermezza: “Un bambino, un insegnante, un libro, una penna possono cambiare il mondo”. Una semplice frase carica di una potenza da fare concorrenza a una bomba atomica. Non c’è molto da dire o da commentare. C’è solo un rapido conteggio da fare e con esso una domanda. “Quanti libri, insegnanti, penne, scuole si possono realizzare facendo virare verso di loro le spese per gli armamenti che ancora mantengono cecamente in vita la guerra nel mondo?” Chissà se un giorno, sotto la spinta della passione per la libertà e la verità, le parole di Malala vedranno tanti giovani giungere al traguardo di un mondo di pace e serenità per tutti? Io continuo a dire di sì che è possibile se uniamo le nostre forze, se sappiamo guardare molto lontano, se decidiamo di dare una mano per costruire un’umanità consapevole e non a distruggerla. Un consiglio vorrei dare ai genitori. Fate leggere ai vostri figli la dichiarazione di Malala alle Nazioni Unite, raccontate la sua storia, fategli capire che loro sono dei privilegiati e neppure lo sanno. Aprite loro gli occhi su quello che hanno e sul sacrosanto dovere che hanno di mettere a frutto quello che la vita ha loro elargito. Ad ogni età corrisponde una presa di coscienza e i genitori sono responsabili di quella dei loro figli.
Caffe’ e ……………..coccole!
Ha aperto a Parigi un locale decisamente sui generis. Si tratta del Cafè des chats: il caffè dei gatti. A tale notizia uno potrebbe chiedersi: “ma che c’entrano i gatti in un caffè?” C’entrano, c’entrano eccome, così come c’entrano i ben pasciuti felini al Foro Traiano a Roma. Si tratta di un locale dove è possibile consumare spuntini, cappuccini, bevande e caffè, gelati e quant’altro insieme a una diecina di gatti ingaggiati dalla proprietaria perché esercitino la loro funzione anti-stress nei riguardi dei clienti specie durante la pausa pranzo. E’ risaputo ormai da vecchia data, che i gatti sono i migliori rappresentanti della cosiddetta pet-therapy in uso da alcuni anni anche nei reparti pediatrici e geriatrici ospedalieri. Il gatto è un essere senza tempo che induce chi lo accarezza a ripristinare la calma dentro di sé. E’ stato dimostrato che provocare, con carezze e grattatine sotto al mento le fusa di un gatto, è un toccasana che fa allentare le tensioni accumulate durante le ore di lavoro, i difficili rapporti con i colleghi, le problematiche familiari. Questo tipo di contatto fornisce uno stop al cervello, una pausa rigenerante, un positivo rilassamento, un piacevole senso di accoglienza privo di alcun secondo interesse con il più coccolone degli animali. Trovo geniale questa idea che ha ormai più di 15 anni di anzianità. Infatti, il primo locale fornito di mici terapeuti è sorto a Taiwan nel 1998. Hanno fatto seguito gli ormai cento locali in Giappone, uno a Vienna ed un altro che si sta realizzando a Londra. Uno è in programma anche in Italia e precisamente a Venezia. Nei cafè des chats è difficile che si alzi la voce o che si discuta. L’atmosfera è decisamente più calma e rilassata. Dinanzi a tale novità mi verrebbe da chiedere agli psicoterapeuti se sentono minacciata in qualche modo la loro attività professionale, le loro prescrizioni farmacologiche o la stima della loro posizione di fronte alla ……….. concorrenza animale. Il fatto è che fu proprio un medico austriaco che tanti anni fa si rese conto del prezioso aiuto che i malati ricoverati nel suo Ospedale in Africa ricevevano dalla vicinanza con i loro animali. Parlo di Albert Schweizer, grande organista e medico fondatore di un Ospedale a Lambaranè. Questo sensibile e lungimirante medico consentiva ai suoi malati di portarsi dietro gli animali a quattro zampe a loro familiari. Così facendo egli scoprì che la loro guarigione era più rapida e dolce, che il loro stato d’animo era più sollevato. Tant’è che nel suo Ospedale entravano anche le capre! Ma tornando ai nostri gatti europei, quel che è certo è che andare a fare uno spuntino o a prendere un caffè con contorno di coccole micesche dovrebbe far molto riflettere sul valore della differenza – da sempre codificata – fra noi e gli animali. Ma vuoi vedere che forse sono proprio loro a dovere insegnare qualcosa a noi su come stare al mondo? Io l’ho sospettato da sempre. A noi umani, che ci riteniamo “razza superiore”, forse un po’ di umiltà in fatto di riflessioni credo proprio non guasterebbe.
Potenza………della natura!
Due giorni fa due gattini che giocavano del tutto ignari sui binari della Metropolitana di New York hanno costretto gli addetti a fermare il traffico dei convogli per ben due ore e a rimuovere i cuccioli con una succulenta offerta di latte evitando in tal modo che rimanessero sicuramente uccisi. E’ facile immaginare lo scompiglio e il gran disagio provocato dall’insolito evento. Due ore sono tante per migliaia e migliaia di persone che si sono viste bloccare all’improvviso il loro rullino di marcia. C’è da comprendere la probabile rabbia di alcuni che magari si sono espressi con il pollice verso contro i due cuccioli: “e tutto questo solo per due gattini? Roba da matti!” Altri, al contrario, anche se ugualmente colpiti dal disagio, avranno teneramente sospirato: “poveri piccoli! Meno male che li hanno salvati!” E come sovente accade è proprio il caso di dire: “vallo a capire il mondo!” Quel che colpisce in merito a questo fatto è la macroscopica sproporzione esistente tra i due gattini giocherelloni e l’enorme ingranaggio della Metropolitana di una città come New York. Vengono in mente il topolino (che con i gatti ci sta proprio bene) e la montagna. E perché no, anche Davide e Golia. Mah! Che cosa non è capace di fare la potenza della natura per offrire un’occasione di riflessione per i bipedi umani in perpetuo movimento!
A proposito di Malala…
Non posso non tornare sul discorso che riguarda la ragazza sedicenne pakistana – Malala Yousafzai – che ha rischiato la vita per difendere il proprio diritto allo studio e con lei, ovviamente, quello di tutte le ragazze del mondo. Come molti di voi ricorderanno questa coraggiosa adolescente ha parlato il 12 luglio u.s. alle Nazioni Unite esprimendosi con poche ma ferme parole. La sua dichiarazione ha avviato una vera e propria rivoluzione in tutto il mondo tanto da candidarla al premio Nobel per la pace, Vorrei solo aggiungere che mi auguro che in ogni scuola di ogni ordine e grado gli insegnanti sentano il dovere morale di leggere la dichiarazione che questa sedicenne ha fatto ai suoi coetanei e al mondo intero su che cosa rappresenta l’istruzione e che cosa significa lottare e rischiare per ottenerla. Gli insegnanti, e con essi ovviamente i genitori, dovrebbero far riflettere i bambini e i giovani che studiare è una conquista, un privilegio e non un favore che si fa a qualcuno. Che avere tutte le opportunità che hanno i ragazzi occidentali è un valore inestimabile, la cosa più grande che si possa ricevere per divenire adulti consapevoli capaci di affrontare la vita e di goderne appieno con serenità e desiderio di conoscere più che di sapere. Perciò è necessario far capire a tutti gli allievi che vanno a scuola che non si deve studiare svogliatamente o per ricevere premi o quant’altro, ma per lavorare tutti insieme a costruire un mondo migliore. Cosa che sta facendo e farà Malala che la vita ha voluto miracolosamente risparmiare e salvare dalla ceca violenza umana. Malala ci ha voluto dire che non è con le bombe o con le guerre fratricide che l’umanità può andare avanti ma con “una penna, un quaderno, un libro” e il libero diritto all’istruzione senza distinzioni di genere e di razze.
Una nuova legge in Cina
La parola cinese xiào è molto antica ed è stata introdotta nel canone filosofico confuciano intorno al 200 a. C. Il suo significato letterale è: “pietà filiale”, cioè il rispetto dei figli verso gli anziani genitori. Da poco le autorità cinesi hanno rispolverato questa parola e ne hanno fatto la base per creare un nuovo Decreto Legge che impone ai figli la “protezione dei diritti e degli interessi degli anziani”. Si tratta di una Legge statale che obbliga i figli a prendersi cura dei propri genitori. Nella Repubblica popolare cinese sono attualmente presenti 185 milioni di anziani. Molti di essi vengono abbandonati. Francamente la notizia mi ha fatto rabbrividire. Credo sinceramente che la pietà filiale, l’aiutare i propri genitori e i vecchi in genere dovrebbero essere un fatto naturale, un’ovvia espressione della riconoscenza verso coloro che ci hanno messo al mondo e cha hanno lavorato una vita per la generazione a venire. Il nuovo pacchetto di norme introduce “l’obbligo per i figli di andare a trovare la madre e il padre più spesso, di telefonare almeno una volta al giorno, di farli partecipare alla vita familiare e di stare con i nipoti, di fare esercizi fisici con loro, di occuparsi della documentazione per le loro cure sanitarie, di insegnare loro l’uso di Internet,di garantire loro denaro sufficiente per le esigenze di base, di organizzare la loro festa di compleanno, di cucinare per loro, di andare insieme al cinema,di ascoltare i loro racconti di vita.” L’ultimo punto è a dir poco sconvolgente: “Ricordatevi di dire loro che li amate.” L’ attuale società umana è arrivata a tanto? A imporre l’amore, l’attenzione, la tenerezza, la gratitudine per legge? Ce n’è abbastanza per una riflessione che sia un campanello d’allarme riguardo a dove sta andando l’umanità attuale, e dove stiamo indirizzando la nuova generazione. Una volta giunti alla sterilità del cuore possiamo affermare, senza tema di smentita, che “siamo proprio arrivati al capolinea” o, se preferite, “alla frutta”. Fino a prova contraria la pietà filiale dovrebbe essere un sentimento più che naturale. Non si può regolare un valore morale per legge. Trovo scandaloso e non commentabile il fatto che ci voglia una legge, un obbligo codificato per spingerci a provare amore per chi ci ha generato. Il fatto è assolutamente vergognoso! L’amore non è un bene di consumo da dover amministrare secondo le Leggi dello Stato. O c’è in noi oppure no. O abbiamo nel nostro cuore un campo fiorito o un groviglio di rovi. Una profonda ed onesta riflessione su questo argomento è il minimo che possiamo fare.
Il prezzo della modernità’
A Pechino l’indice della qualità dell’aria viene monitorato ogni giorno. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, perché l’aria sia considerata respirabile dagli abitanti di una città, è indispensabile che l’indice di inquinamento non superi la soglia di 20 p.m. per metro cubo d’aria. Negli ultimi tempi la grande metropoli cinese ha visto oscillare tale dato da 356 a 755! Sempre secondo l’OMS uscire di casa in una simile situazione è molto rischioso perché le particelle d’inquinamento, che sono molto piccole, raggiungono in profondità i polmoni e non ne escono più. Per gli abitanti di Pechino, Nanchino, Shangai e di tante altre città è cosa normale, prima di uscire di casa al mattino, mettersi sul viso una mascherina di stoffa. Molti usano ormai le maschere antigas con il filtro. In certe situazioni di emergenza si è dovuti ricorrere alla chiusura delle scuole, all’interruzione del lavoro nei cantieri edili, a spegnere le centrali a carbone. Sempre secondo l’OMS nel 2010 sono morte prematuramente per malattie collegate all’inquinamento – vedi cancro – un milione e duecentomila cinesi! Stando così le cose è un dato di fatto: la Cina con il suo miliardo e trecentomila abitanti è un Paese che sta letteralmente soffocando! Pechino ha venti milioni di abitanti e cinque milioni di veicoli. Il cielo non si vede mai e il sole è rimasto solo un ricordo. Rispetto alla vecchia tradizione contadina e a tutti quei valori antichi che ancora esistevano fino a qualche decina di anni fa c’è da chiedersi:ma ne valeva la pena per arrivare oggi a mettere al mondo bambini che sono destinati a vivere in una mastodontica camera a gas e che non potranno godere del sole e dell’aria pura e men che mai giocare all’aria aperta?
Dinanzi a tali notizie ad ognuno la sua riflessione.
L’ adolescenza dell’umanità
Mai come in questo momento si sono sentite voci più diverse sul destino dell’essere umano. Educatori, politici, economisti, psicologi, fisici, medici, filosofi e tanti altri esponenti di svariate categorie dello scibile esprimono quotidianamente il loro punto di vista sulla situazione umana attuale così strettamente legata alla Terra, a questo povero pianeta teatro delle nostre gesta umane.
Ognuno a seconda della propria competenza, del proprio punto di vista, esprime giudizi, fornisce suggerimenti, sottolinea personali convincimenti che vanno da affermazioni catastrofiche sul destino del nostro mondo a previsioni assolutamente rosee se non idilliache. E l’uomo della strada leggendo, informandosi, documentandosi per quello che può, viene a sentirsi quotidianamente esposto a una terribile e disagevole doccia scozzese e si chiede: stiamo andando realmente verso la distruzione del pianeta e di conseguenza verso il declino dell’essere umano o andiamo incontro alla sua trasformazione in un abitante di un pianeta superdotato in intelligenza umana, super computerizzato, superpotente? Dovremo ricominciare tutto da zero, disponibilità dell’ecosistema permettendo, o saremo costretti prima o poi ad espatriare sul pianeta più vicino? Che cosa sta realmente succedendo all’umanità?
Forse, semplicemente, tutto comincia a stare un po’ stretto sia internamente che esternamente a noi. Un profondo sottile disagio pervade l’uomo odierno; una insoddisfazione che non si placa con nessun tipo di possesso si affaccia nell’intimo di ognuno. Si fa sempre più struggente il desiderio di raggiungere un qualcosa di impalpabile, di immutabile che preme dentro. C’è voglia di crescere, di conoscere e di comprendere, di dare un profondo e maturo significato alla propria vita, di operare una mutazione consapevole, individuale, coraggiosa, per molti improrogabile.
In questo momento storico così delicato, se si guarda all’umanità come a un unico organismo vivente, non si può non associarlo all’essere umano giovanissimo che affronta quel periodo così carico di tensioni, di incognite e di mutamenti che è l’adolescenza. Quel profondo disagio che si comincia ad avvertire dagli 11-12 anni e che si placa dopo altri sei – sette.
E’ un periodo di immensa e terribile rivoluzione planetaria che coinvolge tutto di un essere umano in evoluzione. Quel non sentirsi più ne carne né ancora pesce, ne di qua né di là, sospeso in un limbo non qualificato. Quelle membra che crescono a vista d’occhio e che diventano ingombranti e scomposte come le zampe di un puledro. E quel modificarsi prepotente del proprio corpo, dei propri pensieri, dei propri gusti, desideri, obiettivi. E tutto il vecchio, la vecchia pelle bambina che se ne va via buttata alle ortiche come la buccia di un serpente, ed ancora quel senso di nuovo che preme alle porte con il suo alone di mistero.
Un periodo, un lungo periodo di gran confusione, di pericoloso assorbimento di modelli altrui, di tentativi di trovare un’identità in un supporto continuamente mutante. E la sensazione che nessuno capisce perché distratto o semplicemente perché ha dimenticato quel difficile passaggio. Uno spaurito bocciolo che non è più un seme e non ancora un fiore, un pulcino solitario che preme all’interno del guscio, un’ energia da tromba marina che si muove dalle viscere del mare pronta ad esplodere.
Questa è l’adolescenza. Un passaggio più o meno sofferto da uno stato all’altro. Un interregno che frastorna e fornisce sofferenze e un mare di domande spesso senza risposta. Ecco, oggi, ascoltando con il cuore l’umanità d’intorno, quell’umanità che popola le vie, i mercati, gli uffici, le scuole, gli stadi, le spiagge, le chiese o le università, guardando muovere, respirare, parlare, ridere, piangere, gioire o soffrire questa umanità, si recepisce la stessa sensazione: un gigantesco adolescente dalle mille braccia, dalle mille voci che preme, che scalpita e smania per divenire adulto.
Chissà, forse sta veramente finendo l’era dei lustrini e dei balocchi, delle conquiste fini a se stesse, dei miopici obiettivi del tornaconto quotidiano, delle paure, delle incertezze, dei compromessi. Forse questa umanità adolescente è stanca di essere bambina. Forse questo immenso organismo umano comincia a sentirsi troppo compresso in un contenitore Terra che ha ormai totalmente esplorato, un pianeta che ha ormai la possibilità di raggiungere in ogni angolo a bordo di un jet in un pugno di ore. Forse lo sguardo comincia ad andare oltre e non solo perché si punta su Marte ma perché si pensa di osare ciò che i pavidi avevano confinato nell’impossibile
Il mistero, l’inesplorato non c’è più sulla Terra e quella cosa che l’essere umano sente premere dentro, sente anche che deve cercarla altrove e forse non troppo lontano da sé.
Si avverte una sorta di febbre di crescenza in giro ed anche il disagio e la confusione che precedono un mutamento. Ma questa volta non si tratta più di cambiare la posizione delle pedine del gioco o reinventarsene un altro o sostituire una ideologia con un’altra, una religione con un’altra, una guerra con un’altra. No, si tratta proprio di cambiare pelle o abito proprio come capita a un ragazzo che non entra più nei pantaloni di quando era bambino. Si tratta di crescere veramente, di far sbocciare una buona volta quel fiore della consapevolezza che solo ci può fornire il profumo di divenire esseri umani veri. E questo va fatto con gioia e senza mugugni, con la stessa sensazione che hanno provato tutti gli “esploratori” della vita che ci hanno preceduto.
Si sa, aprirsi il cammino nella foresta vergine è faticoso ma la vita concede il suo sorriso solo a chi è disposto a nutrirsi ogni giorno del pane della meraviglia. Costi quel che costi.
Edificanti notizie da Copenaghen
In meno di trenta giorni nello zoo di Copenaghen sono stati abbattuti – termine più delicato per non dire uccisi – cinque animali. Due anziani leoni, due cuccioli sempre di leoni e un cucciolo di giraffa di diciotto mesi – al quale però avevano dato anche il nome di Marius. Che gentile pensiero!
Movente di questa fredda esecuzione: “ non riuscire a collocarli da nessuna parte!” Quindi un di più, un’eccedenza di vita da non saper dove mettere e , di conseguenza, da eliminare onde evitare problemi agli umani. E pensare che i cosiddetti animali, tanto per distinguerli dalla supremazia umana, erano riusciti, malgrado la terribile perdita della libertà, a generare la loro prole! Mentre il premio per la segregazione a vita degli anziani leoni è stata l’eliminazione per non servire più a fare i pagliacci in gabbia.
Ora io credo che chi ama e tiene nel dovuto conto la vita nella sua totalità, non può accettare azioni di questo genere che sono il risultato di una fredda e calcolata violenza inaudibile e inammissibile.
Come si fa ad alzare la mano e a decidere per la vita di un cucciolo o di un animale anziano?
Lo zoo di Copenaghen con il suo gesto di “abbattimento” ha provocato, ovviamente, un’alzata di scudi, una forte reazione nel settore dei cosiddetti animalisti – ma non dovremmo esserlo tutti? – che hanno urlato ai quattro venti lo loro protesta.
E’ da diversi anni che si auspica l’instaurarsi di nuove normative riguardanti l’esistenza degli zoo, della tremenda realtà delle arene spagnole, della vivisezione, ecc. ecc. E’ ora una buona volta di mettere fine a tali tristi realtà.
Se proprio si vuole ammirare dal vivo un animale, si va in Africa o al polo nord, ma non lo si mette in una gabbia ad uso e consumo della curiosità degli umani. Gli animali non sono oggetti o soprammobili da mettere in vetrina. E se provassimo a scambiare i ruoli una volta tanto? Fuori loro e dentro noi! Una pazza idea? Ma non proprio pazza perché in fondo gli umani già ci stanno nelle loro gabbie cittadine più o meno dorate e confortevoli e chissà quante reazioni sensibili proveranno in merito i cosiddetti amici dell’uomo osservandoci. Impossibile? E chi l’ha detto?
In fondo a loro manca solo la parola ma non certo la sensibilità e la prova dei loro sentimenti nei nostri riguardi. Ne abbiamo esempio a iosa con quelli che vivono con noi e che a volte ci danno prova di una maturità di sentimenti, di fedeltà che gli umani neppure si sognano.
E
l’uomo come ricambia tanta fedeltà, amicizia e affetto genuino?
Alla coscienza di ognuno la giusta risposta in merito.
Miopia e tecnologia
Secondo un’accurata ricerca scientifica effettuata su 11.000 soggetti è stato dimostrato che nel 2025 i bambini miopi raddoppieranno a causa della loro dipendenza web. E’ stato ampiamente accertato che i bambini e i ragazzi vivono una considerevole parte del loro tempo nel limitato spazio di una stanza incollati a un pc, tablet, smartphone, TV.
La poca luce naturale, la mancanza di vita all’aria aperta, la troppa luce di colore blu dei led sono la causa che porterà la nuova generazione ad evolvere verso “l’homo miopens”. L’aumento dei miopi riguarda tutti quei paesi dove ha preso piede l’utilizzo massiccio delle nuove tecnologie. Le statistiche precisano che in media un bambino usa ogni tipo di schermo dalle 4 alle 12 ore al giorno!
Gli oculisti stanno raccomandando l’uso della vista da lontano e all’aria aperta, perché i miopi raddoppiano se non si gioca all’esterno e in mezzo alla natura. E’stato lanciato nel contempo un appello a quei genitori – e sono in molti – che preferiscono figli silenziosi davanti alla TV o a un video gioco piuttosto che all’impegno di portarli a giocare a pallone o a passare le ore dei fine settimana a contatto con la natura.
E’ stato inoltre consigliato per il benessere totale di una generazione che sta crescendo di “tornare all’aria aperta soprattutto nell’età dello sviluppo e di leggere libri e giornali di carta.” A commento di quanto sopra non posso non aggiungere e sottolineare che ogni adulto ha l’obbligo morale di riflettere seriamente su certe notizie e di fare onestamente il classico esame di coscienza in merito alla sua personale responsabilità nei riguardi di chi ha messo al mondo. I figli si sa sono un impegno che non si può ignorare.
La comodità, il delegare non sempre vanno d’accordo con l’edificare un giusto rapporto umano. Anzi molto spesso lo sviliscono e lo possono anche annullare.
Un Natale…quasi gratuito!
In questo tempo pre-natalizio sembra quasi un controsenso parlare del concetto del “gratuito”. Ne sono consapevole, ma forse può essere utile cercare di ritagliarci una breve pausa per riflettere su certe cose.
Da qualche giorno ha ripreso avvio, più alacre che mai, la giostra di fine anno. Per la verità – ci avete fatto caso sicuramente anche voi – la corsa è già iniziata dai primi di novembre e fra un po’ le esigenze di mercato la faranno anticipare ad ottobre.
Ora, sappiamo tutti che c’è disoccupazione, recessione, crisi economica, ma la macchina natalizia ha già iniziato imperterrita il suo speranzoso e incalzante cammino. Certamente ci sarà un ridimensionamento dell’entità delle spese, dei regali, dei cenoni ed addobbi vari, ma in ogni caso la corsa sta ormai prendendo il largo e nessuno riuscirà a fermarne la marcia. Nulla stopperà o rallenterà un movimento che tenterà di far riprendere fiato all’ammaccato consumismo specie di questo ultimo anno.
La recessione, la crisi economica che interessa l’80-90 % delle persone (le restanti hanno talmente tanto da non avvertire grandi disagi) avrebbero dovuto insegnarci qualcosa oltre al fatto concreto di dover affrontare, nostro malgrado, le difficoltà economiche di ogni giorno. Sicuramente abbiamo imparato a riciclare ciò che già abbiamo, a consumare tutto fino in fondo, ad essere parchi. Ma forse c’è un ulteriore e utile riflessione da fare. Una riflessione indubbiamente insolita ma sicuramente ricca di affascinanti scoperte.
Quando, come in questa epoca, si vive una grossa difficoltà economica è possibile ed anche molto utile riflettere e scoprire il valore inalterabile delle cose gratuite. Quei valori cioè che non conoscono mutamenti di mercato, crisi da disoccupazione lavorativa, arrovellamenti per risparmiare anche il centesimo,ecc. ecc. Si, perché esistono valori che da sempre sono assolutamente gratuiti. Quali? La gentilezza, per esempio. Essere gentili non costa nulla. La gentilezza non è un bene d’acquisto come i pomodori, il pane o il latte. Non si va certo al supermercato – anzi di questi tempi bisogna dire discount, che, tradotto in italiano, vuol dire mercato per i meno abbienti – per comprare la gentilezza, la cortesia, l’affabilità.
Altro bene non acquistabile è il sorriso. Non si può andare da nessuna parte per comprare un chilogrammo di sorrisi per portarlo a casa e distribuirlo ai familiari, agli amici. La stessa cosa vale per la dignità, l’umiltà, l’onestà, il rispetto per il prossimo e così via. Sono numerosi infatti i beni non acquistabili: beni assolutamente gratuiti.
E poi, non posso acquistare quel paio di scarpe che occhieggia invitante dalla vetrina? E io, anziché brontolare e sentirmi infelice per questo, sorrido al passante che incrocio, alla moglie o al marito che mi risponde male. In ufficio al collega che mi risponde irritato e che sogna da tempo………….. di farmi le scarpe (!) gli regalo …….un bel pacco di sorrisi! Qualcuno vuole fare il prepotente mentre faccio la fila alla posta? E io gli parlo con gentilezza, con il sorriso sulla labbra e senza rabbia gli dico che quello che fa non è bello e rispettoso del prossimo. E ancora, mi sono accorto che ho sbagliato con qualcuno? Bene, a Natale gli regalo le mie scuse. E così via.
Cammin facendo in tal modo si scopre che si possono ottenere tanti vantaggi, anche pratici, senza avere speso un centesimo. Ma la cosa più gratificante è che ci si sente bene, molto bene dopo queste azioni gratuite. Si gode di una serenità, di una leggerezza, di una pienezza, di un senso di rilassamento che hanno sapore diverso dalla gratificazione che ci dà l’acquisto tout court. Anche perché l’acquistare pagando i sudati euro innesca sovente una reazione a catena.
Mi hanno regalato un anello per il Natale? Li per lì ne sono molto felice ma crepo di rabbia quando ne vedo uno simile al dito di un’amica che è decisamente molto più bello e importante. Quanti commenti sui regali di Natale! Tutto viene soppesato, valutato, paragonato, discusso.
Il gratuito, al contrario, non funziona così. O sei gentile o non lo sei. Punto e basta. Non c’è un criterio di valutazione sui valori gratuiti. Per esempio, non si può essere ultragentili perché si sconfina nel falso e nel lezioso. Così come non si può sorridere più di tanto altrimenti si può sospettare che soffriamo di un crampo facciale!
Uno dei beni gratuiti che ha un gran valore specie in questi tempi di crisi economica, è prestare attenzione agli altri. Spostare l’obiettivo della nostra attenzione da noi agli altri è un traguardo assolutamente gratuito, ma molto, molto gratificante e apportatore di una ricchezza non depositabile in banca.
Altra grande scoperta, sempre in questi tempi difficili, è la generosità. La generosità è quel valore che ha di per sé, cioè per propria natura intrinseca, il senso del gratuito. La qualità della generosità non solo non si acquista, ma vive, respira solo nell’essenza del disinteresse economico, del non attaccamento del senso del mio. La generosità è l’apoteosi del gratuito.
Una cosa che ho sempre osservato nel cammino della mia vita, è che i poveri sono molto più generosi dei ricchi. Sembra un controsenso ma è proprio così. Chi meno ha condivide più facilmente ciò che ha perché non soffre della malattia dello zio Paperone. Chi ha una sola pagnotta di pane sa vivere anche con una metà. Il ricco, vittima dell’attaccamento, non la cede e anzi ne vuole altre cento e poi mille, centomila fino a schiantare. Chi vive una vita spartana ha poco da perdere sul piano del possesso. Sono queste le persone che di questi tempi soffrono di meno ed elargiscono la poesia della gratuità.
Questo non vuol dire che non dobbiamo rispettare la tradizione, la poesia che aleggia a fine anno, la tavola imbandita o fare quanto è possibile per rendere felici soprattutto i bambini. Ma con molta misura, senza strafare. E se riflettiamo bene è anche vero che è possibile farlo con parsimonia e cercando di dare valore a quanto detto sopra evitando di recriminare per ciò che non si può avere, facendo il pieno, al contrario, dei tanti valori gratuiti che inondano la nostra anima di gioia e serenità. E, non ultimo, spieghiamo tutto ciò ai bambini che specie negli ultimi anni abbiamo male educato a una visione eccessiva dei beni materiali a discapito dei valori intramontabili che li accompagneranno per tutta la vita.
Ecco, un Natale così sarà una benedizione e un arricchimento per tutti. Non dimentichiamolo mai: nella semplicità sta la maggior ricchezza.
Auguri a tutti e ………. buone scoperte!
Il libro è un “soggetto”
Il libro non è un oggetto come un altro. Esso non è da considerare e da trattare come una “cosa” come tante altre, spostabile, sostituibile, barattabile o da accantonare, una volta letto, come un oggetto privo di valore e reso obsoleto con il trascorrere del tempo.
No, il libro è un “soggetto” così come lo siamo noi. Esso ha una sua precisa, insostituibile e pregnante identità. Certamente non parla, ma si offre al nostro sguardo, si lascia “leggere”, rigirare fra le nostre mani, affidandosi a chi l’ha acquistato e intimamente promosso alla propria attenzione. Il libro è come un neonato da accogliere fra le nostre dita con cautela, rispetto e amore. Esso non è solo la concreta espressione di un oggetto cosiddetto “cartaceo”, ma di un’opera che per via del suo contenuto vale molto, ma molto di più.
Perciò è stata per me una bella notizia – in mezzo a tante altre decisamente deprimenti – venire a sapere che una recente statistica ha rilevato che, malgrado il boom degli e-book, c’è un ritorno di richieste per il libro stampato.
In effetti molte cose si possono “modernizzare” e inglobare nel facile e comodo mondo della tecnologia e dell’elettronica, ma mai, come nel caso del libro, si potrà sostituire la poesia di certi nostri gesti e di certi contatti anche fisici. Perché il libro ha un’anima: l’anima di chi l’ha scritto. E nelle sue pagine, mano a mano che avanziamo nella lettura, percepiamo con curiosità, sorpresa, attenzione e rispetto un qualcosa che sfocia in un nostro personale specchiarsi e riconoscersi nell’ autore, così come si riconosce un amico di vecchia data. E il tutto diviene una specie di rito, un godimento dell’anima.
Un libro è un incontro misterioso, affascinante. Chi di noi non ha provato un sottile piacere nell’annusare un libro appena stampato?
Capisco che avere a disposizioni una biblioteca in pochi centimetri e grammi di spazio e di peso rappresenta un enorme vantaggio, ma questo non giustifica mettere il libro fra gli oggetti ormai in disuso.
Perciò continuiamo a godere nel ritrovare il “soggetto” libro posato sul nostro comodino e a continuare con lui un dialogo profondo attraverso l’anima di chi legge e quella di chi ha scritto.
In più, cerchiamo che i bambini, i giovani non perdano il contatto con il “soggetto” libro. Educhiamoli a mantenere nella loro anima la sensibilità verso qualcosa che esuli una volta tanto dalla freddezza della tecnologia che ormai invade quasi completamente la loro vita.